Quando scorro la mia bacheca di Facebook per allietare la seduta mattutina al cesso, spesso mi capita di leggere post di amici (virtuali) che sembrano essere informati su qualsiasi tema e argomento su scala universale. Dalla politica nazionale a quella estera, dai cambiamenti climatici alla cura del cancro, dalle religioni (altrui) ai crimini contro l’umanità. Tutti sanno tutto di ogni cosa, possono sparare sentenze e giudizi su chiunque con una sicurezza di sé a tratti invidiabile.
È evidente che nascondersi dietro una tastiera rende tutto più semplice, non bisogna rispondere a eventuali critiche o obiezioni, a differenza ad esempio della cara e vecchia discussione al bar con gli amici (reali). Possiamo dare giudizi e perfino insultare chi ci pare, incluse alte cariche dello Stato, senza che nessuno possa fare (più o meno) nulla.
È indubbiamente un’enorme sensazione di potere per impotenti.
Ma quanto può influenzare le nostre menti pensanti il continuo rimbombo di giudizi e sentenze sui social che frequentiamo? Fino a che punto questioni che sarebbero di fatto marginali per la nostra vita diventano questioni morali, di principio, al punto da trasformarsi in vere e proprie cause a cui ci dedichiamo? E quanto questo processo più o meno inconscio può pesare sul nostro modo di agire e prendere decisioni?
Siccome passo molto tempo sulla tazza del cesso mi capita di perdermi in queste dotte elucubrazioni, e per caso mi sono imbattuta in un interessante articolo, che mi ha fatto scoprire che anche qualcuno di molto più dotto di me si è posto delle domande simili.
L’articolo è stato pubblicato il 23 maggio sul Science Daily, questo è il link e qui sotto la mia traduzione.
I post sui social media possono indicare se una protesta diventerà violenta
Uno studio condotto dalla USC (University of Southern California) sulle proteste violente ha rilevato come la retorica morale su Twitter possa essere un indicatore di eventuali risvolti violenti del dissenso.
I ricercatori hanno scoperto che le persone tendono ad avvallare maggiormente la violenza quando fanno della protesta una questione morale, e quando credono che tale questione morale sia sostenuta dalla loro rete social.
“I movimenti estremisti possono emergere attraverso i social network“, ha detto l’autore dello studio, Morteza Dehghani, ricercatore presso il Brain and Creativity Institute dell’USC. “Abbiamo assistito a diversi casi negli ultimi anni, come le proteste a Baltimora e Charlottesville, in cui le percezioni delle persone sono state influenzate dall’attività nei loro social network. L’individuo identifica altri individui che condividono le sue convinzioni e interpreta questo come consenso. In questi studi, dimostriamo come ciò possa avere conseguenze potenzialmente pericolose“.
Utilizzando una rete neurale profonda (una tecnica avanzata di apprendimento automatico) per rilevare il linguaggio “moralizzato”, gli scienziati hanno analizzato diciotto milioni di tweet pubblicati durante le proteste di Baltimora del 2015 per Gray, un ragazzo di 25 anni morto mentre la polizia lo portava in carcere.
Quindi, hanno studiato l’associazione tra tweet morali e tassi di arresto. Questa analisi ha mostrato che il numero di arresti all’ora effettuati durante le proteste era associato al numero di tweet “morali” pubblicati nelle ore precedenti.
Infatti, i tweet contenenti retorica morale sono quasi raddoppiati nei giorni in cui gli scontri tra i manifestanti e la polizia sono diventati violenti.
Lo studio è stato pubblicato il 23 maggio sul Nature Human Behavior.
I social media come barometro per l’attivismo
I social media, come Twitter, sono diventati una piattaforma significativa per l’attivismo e una fonte di dati sul comportamento umano, motivo per cui gli scienziati li utilizzano per la ricerca.
Recenti esempi di movimenti legati ai social media comprendono l’attivismo di #marchforourlives per ottenere un controllo delle armi, il movimento #metoo contro la violenza e le molestie sessuali, e #blacklivesmatter, una campagna contro il razzismo sistematico iniziata nel 2014 dopo la sparatoria che uccise Michael Brown, 19 anni, a Ferguson, nel Maryland.
Un altro esempio, più violento, è stata la rivoluzione della primavera araba, iniziata in Tunisia alla fine del 2010, che ha scatenato proteste in molti altri paesi, tra cui l’Egitto e la Libia, costringendo cambiamenti nelle loro leadership. In Siria, gli scontri si sono trasformati in una guerra che ha ucciso centinaia di migliaia di persone e causato una moltitudine di rifugiati.
Come rilevare la moralizzazione online
Gli scienziati hanno sviluppato un modello per rilevare il linguaggio moralizzato, sulla base di un precedente quadro di apprendimento profondo, che può identificare in modo affidabile il testo che evoca preoccupazioni morali associate a diversi tipi di valori morali e ai loro opposti. I valori, come definiti dalla “Moral Foundations Theory”, sono focalizzati sui concetti di cura/danno, onestà/disonestà, lealtà/tradimento, autorità/sovversione e purezza/degrado.
I ricercatori hanno fornito due esempi di tweet contenenti un linguaggio moralizzato, indicando poi le basi morali a cui sono associati.
Esempio 1: Perché l’opposizione parla solo di crimine nero per confutare gli atti di violenza/omicidi della polizia? #Tuttiicriminicontano (AllCrimeMatters), giusto? #FreddieGray
Fondamenti morali: equità e lealtà
Esempio 2: indipendentemente da come ciascuno la pensa, preghiamo per le forze di polizia e per le loro famiglie
Fondamenti morali: cura e purezza
La moralizzazione e la polarizzazione politica sono esacerbate dalle “camere dell’eco” rappresentate dai social network, in cui individui diversi che la pensano allo stesso modo entrano in contatto tra loro, allontanandosi allo stesso tempo da coloro che non condividono le proprie convinzioni.
Perché sempre più proteste diventano violente
“I dati dei social media ci aiutano a illuminare le dinamiche sociali del mondo reale e a verificare le ipotesi in situ. Tuttavia, come con tutti i dati legati all’osservazione, può essere difficile stabilire il controllo statistico e sperimentale necessario per trarre conclusioni attendibili “, sostiene Joe Hoover, uno dei principali autori dello studio e dottorando di psicologia all’USC Dornsife College.
Per limitare questo problema, gli scienziati hanno condotto una serie di studi comportamentali controllati. A ciascuno studio hanno partecipato oltre 200 persone, alle quali è stato chiesto quanto fossero in accordo o in disaccordo con dichiarazioni sull’uso della violenza contro i manifestanti di estrema destra, dopo aver letto un paragrafo sugli scontri a Charlottesville (Virginia) nel 2017 sulla rimozione dei monumenti confederati.
Gli scienziati hanno scoperto che più le persone avevano la certezza che altri nella loro rete condividessero le loro opinioni, più erano disposte a prendere in considerazione l’uso della violenza contro i loro presunti oppositori.
Riferimenti: Marlon Mooijman, Joe Hoover, Ying Lin, Heng Ji, Morteza Dehghani. Moralization in social networks and the emergence of violence during protests. Nature Human Behaviour, 2018; DOI: 10.1038/s41562-018-0353-0