Forse perché sono leggermente ipocondriaca, mi ritrovo spesso a navigare su siti che trattano di medicina e ricerca scientifica. In particolare il Science Daily mi regala degli spunti interessanti, poiché riporta notizie su recenti scoperte scientifiche in un linguaggio che anche una profana come me può comprendere.
Proprio su questo sito ho trovato l’articolo che vi traduco qui sotto, che riporta un’interessante scoperta sulla cura del dolore cronico.
Articolo tradotto da me, qui l’articolo originale
Per curare il dolore bisogna curare il paziente
Le persone affette da dolore cronico sono tra i pazienti più difficili da curare, poiché presentano condizioni complesse a cui non sempre la medicina è in grado di porre rimedio. Il dolore può essere accentuato da diversi fattori, come depressione, ansia, genetica e qualità della vita. La genetica può anche influenzare il modo in cui le persone vivono il dolore. I medici non sono molto inclini a prescrivere farmaci oppioidi ai pazienti che soffrono di dolore cronico, ma è necessario trovare altre forme di cura.
I medici e i ricercatori del Centro di Medicina per la Terapia del Dolore dell’Università di Washington (UW Medicine’s Center for Pain Relief) hanno scoperto che sottoporre al paziente un questionario dettagliato può essere di enorme aiuto. Il loro progetto di creare un test di valutazione del dolore che possa essere utilizzato da ogni clinica per l’assistenza primaria è stato pubblicato di recente dal Journal of General Medicine.
Questo test si chiama “PainTracker” (indicatore del dolore), e consiste in un questionario di valutazione che può essere compilato online da qualunque dispositivo digitale, oppure su carta.
“Per curare il paziente in maniera efficace e necessario porre queste domande”, afferma l’autrice principale Dale Langford, assistente di anestesiologia e medicina del dolore alla Scuola di Medicina dell’Università di Washington.
Secondo la Langford e gli altri autori, al 40-60 percento dei pazienti che soffrono di dolore cronico manca un’adeguata gestione il dolore.
“L’assenza di miglioramenti può essere dovuta in parte alla multidimensionalità del dolore cronico, che non rientra nel monitoraggio e nella gestione abituale”, scrivono.
Il test di valutazione riguarda la storia terapeutica del paziente, gli obiettivi e le aspettative, l’intensità del dolore, la disabilità che il dolore può causare, eventuali problemi con i farmaci antidolorifici, e questioni legate alla qualità della vita come il sonno, la depressione e l’ansia. Uno schema completo aiuta determinare dove il dolore ha maggiore impatto.
Prima di ogni visita di controllo i pazienti rispondono a un insieme di domande che porta alla creazione di un grafico dove sono evidenziate le aree di miglioramento. Questo grafico è utile anche per stabilire con che frequenza alla riduzione del dolore corrispondono miglioramenti nel sonno, nelle funzioni e nell’umore.
“Il PainTracker fornisce un quadro più ricco sulle reazioni dei pazienti alle cure per il dolore cronico rispetto alla scala di valutazione del dolore da 0 a 10”, afferma il coautore Mark Sullivan, professore di psichiatria all’Università di Washington.
David Tauben, primario di medicina del dolore all’Università di Washington e coautore dell’articolo, sostiene che questo strumento abbia “radicalmente trasformato” la sua capacità di valutare, curare e gestire il dolore cronico.
In particolare, Tauben descrive il caso di un nuovo paziente della sua clinica che aveva consultato altri sette medici, inclusi due specialisti del dolore, e a cui erano state prescritte alte dosi di oppioidi e sedativi. Le risposte del paziente al PainTracker indicavano depressione grave, lieve ansia, bassa qualità di vita, apnee notturne e probabile disturbo post-traumatico da stress. Al loro primo incontro, riferisce Tauben, il paziente accettò di assumersi la responsabilità di migliorare il proprio umore, il sonno e ogni altro aspetto riguardante la qualità della sua vita.
Il paziente riuscì a trovare sollievo grazie al miglioramento delle abitudini del sonno e all’allenamento alla resilienza ricevuto dallo psicologo del centro sanitario. Su consiglio dei medici seguì inoltre delle sessioni di riabilitazione funzionale con un fisioterapista, e prese lezioni di yoga e consapevolezza da uno dei medici del centro.
Un campione di operatori sanitari (30) che ha testato una prima versione del PainTracker l’ha ritenuto di facile utilizzo (70%) e utile per permettere ai pazienti di partecipare attivamente alla gestione del dolore (77%).
Attualmente il PainTracker è utilizzato solo all’interno del Centro di Terapia del Dolore dell’Università di Washington, ma comprende più di 12 test, disponibili gratuitamente e descritti nell’articolo. Fra questi sono inclusi: il test di identificazione dei disturbi collegati all’abuso di alcol (Alcohol Use Disorders Identification Test – AUDIT), i sintomi della fibromialgia (FS), il disturbo d’ansia generalizzato (Generalized Anxiety Disorder 7-item scale – GAD-7), il rischio legato all’uso di oppioidi (Opioid Risk Tool – ORT), il russare, la stanchezza, il respiro interrotto (Observation of stopped breathing – STOP), l’ipertensione e l’indice di dolore diffuso (widespread pain index – WPI).
Riferimenti: Dale J. Langford, David J. Tauben, John A. Sturgeon, Daniel S. Godfrey, Mark D. Sullivan, Ardith Z. Doorenbos. Treat the Patient, Not the Pain: Using a Multidimensional Assessment Tool to Facilitate Patient-Centered Chronic Pain Care. Journal of General Internal Medicine, 2018; DOI: 10.1007/s11606-018-4456-0