
Premessa
Quattro anni fa, quando per la prima volta ho preso seriamente in considerazione di intraprendere un percorso per realizzare il mio sogno di diventare una traduttrice, pensavo che la mia condizione fosse abbastanza singolare.
Avevo trentatré anni e dopo la laurea (non in traduzione) avevo sempre svolto lavori amministrativi.
Da poco avevo avuto un contratto a tempo indeterminato e la mia voglia di rimettermi a studiare e lanciarmi in qualcosa di totalmente nuovo mi faceva sentire un’aliena.
Col tempo però ho scoperto che ci sono molte più persone di quante pensassi che si trovano in quella stessa condizione, e mi è capitato che qualcuna di loro mi chiedesse dei consigli su come muovere i primi passi. Non sono certo un’esperta, anzi, sono solo all’inizio di una carriera che non so ancora se partirà o no (e una pandemia nel bel mezzo del mio sprint iniziale non aiuta), ma credo che condividere la mia esperienza possa tornare utile a chi è ancora più agli inizi di me.
Perciò ho deciso di impiegare questo tempo in più che il confinamento inevitabilmente mi regala per raccontarvi la mia esperienza nel magico mondo della traduzione.
Come tutto è cominciato
Era il 2016, stavo per compiere gli anni di Cristo e avevo appena firmato un contratto a tempo indeterminato in una delle aziende migliori in cui abbia mai lavorato. Facevo la segretaria, qualunque cosa significhi, che non era proprio la mia massima aspirazione, ma tutto sommato non stavo male. Mi trovavo abbastanza bene, il lavoro non era troppo brutto, la paga era bassa ma non peggio che in altri posti.
Cos’avrei potuto volere di più?
Non so se sia stata l’età in qualche modo simbolica a causare la reazione che ho avuto, sta di fatto che l’idea che quello sarebbe stato il mio futuro, che alla domanda “che lavoro fai?” avrei risposto per tutta la vita “la segretaria”, che non ci sarebbero più stati rischi o sorprese, mi ha fatto sentire in carcere.
Probabilmente è l’effetto che fa un contratto a tempo indeterminato a una generazione che non ci è abituata.
Sta di fatto che ho sentito il fortissimo impulso di fare qualcosa che mi piacesse davvero, qualcosa che avrei scelto, non accettato perché è quello che passa il convento. E così ho iniziato per la prima volta a chiedermi sul serio che cosa volevo fare da grande.
La risposta la sapevo già, perché era da tutta la vita che volevo fare la traduttrice. Solo che, per motivi vari, ho scelto una laurea che non c’entrava nulla con la traduzione, e credevo che non essermi laureata in traduzione o in lingue mi avrebbe semplicemente precluso quella carriera.
Ovviamente ora so che non è così, e ho avuto modo di conoscere tanti bravissimi traduttori che avevano scelto una strada completamente diversa.
Si può cambiare idea a qualunque età.
La formazione

La prima cosa da considerare per diventare una traduttrice, così come per intraprendere qualsiasi mestiere, è la formazione.
La seconda è ricordarsi che non è nemmeno mai troppo tardi per rimettersi a studiare (e, come avrei imparato presto, in questo lavoro si studia sempre).
Così mi sono messa a cercare dei corsi di formazione in traduzione a Bologna e ho trovato quello che faceva per me: un corso di traduzione editoriale, in aula, che si teneva tutti i sabati (quindi compatibile con il lavoro), organizzato dall’Associazione Grió.
Ho superato il test d’ingresso e ho iniziato a frequentare il corso che ha dato una svolta al mio futuro. Ho amato tantissimo quei sabati trascorsi con traduttori esperti a imparare i ferri del mestiere, ho amato le serate dopo il lavoro passate a tradurre gli esercizi per il sabato successivo.
Ormai non avevo più dubbi, dovevo diventare una traduttrice.
Durante gli ultimi mesi del corso sono riuscita, con mia somma gioia, a ridurre il mio orario di lavoro a 25 ore settimanali, così da avere più tempo per studiare e per cercare qualche lavoro di traduzione.
Credo di aver scritto a tutte le case editrici della nostra penisola, o quasi, ma non ho ottenuto nessuna risposta…a eccezione delle mail di risposta automatica.
Ho partecipato anche a un po’ di fiere del libro, nella speranza che servisse a qualcosa andare in giro a dire “ehi, ho fatto un corso di traduzione editoriale e mi piacerebbe tradurre dei libri, hai qualcosa per me?”. Inimmaginabilmente, non è servito.
I primi passi
Tradurre libri era la cosa che mi affascinava di più e che ritenevo fosse il mio obiettivo, ma presto mi sono resa conto che la traduzione editoriale non è uno dei settori più semplici da cui partire. In Italia l’editoria è un settore tendenzialmente in crisi, le case editrici spesso hanno già i loro traduttori di riferimento e la concorrenza è tanta. E le tariffe a volte sono scoraggianti.
Così, dato che da qualche parte si deve pur cominciare, ho messo temporaneamente da parte le case editrici e ho cominciato ad ampliare le mie ricerche.
A parte qualche lavoretto commissionato da amici e conoscenti, che all’inizio per fare pratica è sempre utile, ho scovato un’associazione di traduttori volontari su Facebook, Traduttori per la Pace.
Ho iniziato a collaborare con loro a un lavoro davvero interessante, che è poi stato pubblicato un paio di anni fa (per saperne di più: https://transcreationcopywriting.eu/lapartheid-non-e-morta/)
Lavorare con loro mi è servito tantissimo e ho imparato un sacco cose, ad esempio come funziona un CAT Tool (nello specifico MateCat), che per me all’epoca poteva essere un giochino per gatti, ma, come ho presto scoperto, è in realtà uno strumento essenziale per il lavoro di un traduttore, soprattutto se collabora con agenzie di traduzione.
Ma di questo parlerò nelle prossime puntate… se no perché avrei scritto prima parte nel titolo, eh?
Stay tuned!